SICUREZZA, COMPLESSITÀ E CRISI PLANETARIA.
Intervista Vip con Mauro Ceruti
Lo scenario che ci rivela la crisi, che nella guerra in corso in Ucraina sta avendo l’espressione più drammatica, prefigura un nuovo corso della civiltà, dello sviluppo e della mondializzazione. Per affrontare positivamente le sfide del futuro e per resistere alle tentazioni regressive è necessario un cambiamento di paradigma, un nuovo modo di costruire la nostra conoscenza del mondo, in grado di coglierne la complessità. Come ha detto Albert Einstein: “Non si risolve un problema con i modi di pensare che l’hanno generato”. Le parole di Mauro Ceruti, filosofo, tra i principali esponenti a livello mondiale del pensiero complesso fanno vedere molto bene come il tema della sicurezza, sia legato a una molteplicità di fattori interdipendenti, che impongono una visione interdisciplinare e una corretta governance dei sistemi complessi.
Professore, la sicurezza non è un concetto astratto. Il conflitto nell’Est Europa fa vedere un duplice teatro reale e virtuale. Le tecnologie giocheranno un ruolo fondamentale, mentre purtroppo si conta la perdita di tante vite umane e cresce il numero dei rifugiati a dismisura. Una crisi rilevatrice, Lei ha commentato. Può spiegare perché?
Ho parlato di “crisi rilevatrice” perché non possiamo continuare a leggere la contemporaneità usando le lenti interpretative del ‘900. La sicurezza, dopo la fine del leviatano e dell’idea di nazione figlia della cultura del secolo scorso non può essere garantita con strumenti ormai desueti. Non siamo di fronte a un “nuovo ‘39”. Anche se i due terzi dell’esercito russo sono schierati in Ucraina, la disponibilità dell’atomica frena qualsiasi istinto interventista da parte delle forze Nato. Insomma, non ci può essere spazio per quella sottovalutazione e per quello che definirei lo spettro della semplificazione, che nel passato ha aperto il campo all’escalation di Hitler e del nazifascismo, innescando un terrificante effetto domino. Oggi, per una sorta di eterogenesi dei fini, la guerra sta facendo emergere uno spirito unitario, nel cuore del vecchio Continente, che credevamo sopito per sempre.
Complessità e riduzionismo
La teoria della complessità si sta prendendo la rivincita sul “riduzionismo”. Quali scenari si aprono in un momento così difficile che vede il sovrapporsi dell’emergenza sanitaria che aveva già spossato l’Europa, con l’emergere nel “neoimperialismo zarista” manifestato da Putin, che sta mettendo sotto scacco gli equilibri del pianeta?
La difficoltà del momento storico che stiamo vivendo dovrebbe dimostrare come la pretesa di prevedere tutto nel gioco delle interconnessioni sistemiche e globali sia una pretesa vana. Non possiamo controllare tutti gli anelli retroattivi innescati dall’azione e dalla tecnica umane nel mondo e sulla natura. Mai come oggi abbiamo avuto a disposizione una potenza così grande, attraverso le nuove tecnologie. E mai come oggi abbiamo avuto a disposizione una potenza così grande, nella medicina in particolare.
Ma in questa potenza si nasconde una nuova fragilità. Nel mondo globale, tutto è connesso. Viviamo in un’ecumene completamente umanizzata, dove ogni evento locale può comportare conseguenze che possono amplificarsi su scala globale. Capire i segnali anche più deboli, in sistemi lontani dall’equilibrio come quelli in cui ci muoviamo risulterà perciò decisivo per capire dove stiamo andando.
Seguendo il suo ragionamento appare chiaro che siamo dunque avviluppati in un paradosso. Le tecnologie pervasive dovrebbero renderci più sicuri, più padroni del nostro destino invece…
La fragilità ci segna e ci accomuna, mentre sta emergendo una nuova condizione umana, profilata dall’inedito e simultaneo aumento di potenza tecnologica e di interdipendenza planetaria. In passato, il sorgere e l’evoluzione della vita sulla Terra ha reso il pianeta un unico sistema integrato fatto di aspetti biotici e di aspetti geologici e fisico-chimici del tutto inscindibili. Oggi, gli sviluppi della storia umana hanno aggiunto complessità a complessità: con il risultato che il destino dell’entità planetaria è intrinsecamente interdipendente con i nostri sviluppi politici, sociali, economici, culturali. Questo aumento di potenza e di interdipendenza motiva l’ipotesi dell’Antropocene.
Quali sono le conseguenze di questa prospettiva?
Dobbiamo concepire la Terra come un unico sistema dinamico complesso, autoregolato, con componenti fisiche, chimiche, biologiche e anche umane, non dimentichiamoci che l’umanità è diventata una grande forza della natura. E il cambiamento causato dall’uomo è, a sua volta, un processo multidimensionale, che perciò richiede una comprensione multicausale. Una comprensione in grado di intrecciare i cambiamenti umani sociali, politici ed economici con le loro diverse conseguenze ambientali, fisiche, chimiche, geologiche, su scala locale e globale. Natura e società sono diventate una cosa sola, con l’Antropocene, la possibilità di distinguere tra storia umana e storia naturale è, infatti, finita per sempre.
“Il secolo della fraternità”
La sicurezza in questo “universo di partecipazione” dove si colloca?
La sicurezza è un termine critico, che per definizione assume una molteplicità di significati. La rivoluzione digitale di fatto ha dilatato, all’estremo, l’orizzonte delle responsabilità umane, individuali e collettive verso le specie viventi, verso gli ecosistemi naturali, verso il pianeta nella sua interezza, verso la possibilità stessa della sopravvivenza della nostra specie. Le conseguenze delle azioni umane si dilatano nello spazio e nel tempo. Un manager che opera nella security non può non tenere conto della complessità di un tale scenario, adottando una visione unilaterale, perché corre il rischio di non assicurare quella tutela di cui individui e organizzazioni hanno bisogno.
Passare dall’interdipendenza tecno-economica, all’interdipendenza solidale, per recuperare un equilibrio sostenibile, questa la tesi di fondo de: “Il secolo della fraternità” (ed. Castelvecchi) il saggio che ha pubblicato con Francesco Bellusci. È questa la strada che può tirarci fuori dalla “lunga notte” entro cui siamo precipitati?
Cominciare col riconoscere la nostra fragilità e vulnerabilità, che vuol dire riflettere sulla dimensione relazionale del soggetto e delle sue interdipendenze biologiche, sociali, affettive, può essere un passo decisivo. È, infatti, questa la via che conduce al sentimento di fraternità, che può aiutarci a corregge quella concezione semplicista e individualistica della libertà, termine che fa sempre coppia con la sicurezza in un delicato e sofferto bilanciamento.
Non pensa che la prassi politica, in un orizzonte problematico come quello che abbiamo davanti, non abbia tempo per coltivare la fraternità?
Al contrario credo che il principio di fraternità deve ispirare sia la protezione delle antropodiversità sia la protezione delle biodiversità. La solidarietà è stato ed è il motore delle politiche di Welfare a livello nazionale, mentre la fraternità è il motore della costruzione di politiche di una communizzation globale che ci costringe anche al rispetto degli equilibri della biosfera, perché “nessuno si salva da solo”. Questa sfida deve tradursi in obiettivi politici e sociali concreti.
Quali per esempio?
A livello globale urge una svolta nelle forme della cooperazione internazionale, che facciano entrare stabilmente la sicurezza del “pianeta” nell’agenda politica; a livello nazionale-locale è necessario estendere le forme della poliarchia e della partecipazione democratica attraverso una riattivazione del ruolo dei corpi intermedi. Come dimostra anche la vicenda europea del Recovery plan, occorre l’impegno da parte di tutti per trasformare le interdipendenze riconosciute in reale solidarietà: solidarietà che è strumento essenziale per abitare la complessità e affrontare l’imprevedibile.
“Abitare la complessità” è il titolo di altro suo recente scritto, realizzato sempre con la collaborazione di Bellusci. Uno spettro si aggira: “l’uomo semplificato”. Può in conclusione spiegare ai lettori di Cybersecurity Trends di che cosa si tratta?
Con Bellusci trattiamo nel saggio le conseguenze di un errore tragico che incombe: quello di estendere sulla società e sulle relazioni umane i vincoli e i meccanismi non umani della macchina artificiale, di ridurre l’umano e la percezione di noi stessi a un insieme di “dati”. L’affidarsi agli algoritmi non deve renderci ciechi di fronte alla complessità del reale e far disabituare la nostra mente ad essere complessa! Per questo occorre un nuovo umanesimo, veicolato da nuovi modelli educativi e nuovi insegnamenti. Abitare la complessità è, detto in altri termini, la via maestra per avviare una nuova fase della mondializzazione, in cui tutto è connesso, per abitare in un modo nuovo e non (auto)distruttivo il nostro pianeta, e per riconoscersi in quello che è un destino comune.
Autore: Massimiliano Cannata