Un articolo: di Massimiliano Cannata
Sloweb è un termine che evoca lentezza. Sloweb nasce per indurre a un ritorno della riflessione in tempi più votati alla superficialità e alla reazione istintiva?
La sua lettura è corretta. Lentezza come diritto a pensarci bene. Con Sloweb, dice Mario Perini, psicoanalista, l’uomo di oggi deve riappropriarsi del diritto a una mente lenta e riflessiva che usa una tecnologia veloce. Stiamo perdendo la capacità di riflettere, come pesci un poco stolti siamo distratti dai mille oggetti lucenti che ci turbinano intorno. La stessa attenzione – che precede la riflessione – è compromessa, ridotta a pochi minuti nel migliore dei casi. Io stesso mi rendo conto che faccio fatica a leggere 10 – 20 pagine di un libro senza mai interrompermi, dare un’occhiata allo smartphone, fare qualcosa d’altro. Più in particolare va precisato che il nome della nostra Associazione è derivato da Slowfood, ma anche da Slowmedicine, che perora la causa di una medicina sobria rispettosa e giusta. Al momento di decidere che logo adottare per “Sloweb” noi abbiamo pensato di non ricorrere ad animali e simboli simili, e piuttosto scrivere semplicemente “Sloweb” in corsivo come fosse scritto con penna ed inchiostro da un alunno di prima, che scrive lentamente e con attenzione pensa, e mentre pensa cresce… tiene la lingua fuori per lo sforzo, si concentra, e cresce.
Molto bella questa immagine che evoca la tensione della crescita verso una direzione che non sempre conosciamo. L’attività della vostra Associazione si fonda su due valori – chiave: etica e responsabilità. Come si declinano nell’era del web questi concetti che hanno una lunga tradizione filosofica alle spalle?
Per qualche tempo ho usato le parole “uso responsabile” e “uso consapevole” del web senza riflettere che si tratta di due fronti diversi di una comune radice, l’etica: le aziende devono essere indotte ad un uso responsabile del web, che significa un uso etico, per esempio a non produrre software che dia dipendenza, e non rubare informazioni ai propri utenti. Chi le deve indurre in questa direzione? I cittadini e le istituzioni dello Stato. Gli utenti, dal canto loro, devono avere / essere indotti e guidati ad un uso consapevole ed etico. Come per l’educazione sessuale, devono conoscere rischi e opportunità, pericoli e piaceri nell’uso del web. Oggi si parla molto di etica del web intorno al tema privacy, ma penso non sia più rimandabile la discussione e le azioni circa il tema disuguaglianza. E’ etico produrre, offrire, diffondere, un prodotto che serve all’accumulazione illimitata del denaro di molti nelle mani di pochi? Il web ha una straordinaria capacità di penetrazione in ogni gruppo sociale, offrendo opportunità e alcuni rischi non piccoli, eppure si smercia dappertutto e con poche istruzioni per l’uso, non come le sigarette che invece sono vendute a caro prezzo agli adulti solo maggiorenni e solo in negozi con la T e non a caso lo stemma dello Stato.
Navigare un esercizio non facile e pieno di rischi
Navigare è dura troppi pesci morti recita il distico che campeggia nella copertina del volume. Possiamo spiegare meglio questa efficace metafora?
Nel 2017 con Federico Bottino abbiamo chiesto a Francesco Tullio Altan una vignetta che potesse illustrare il libro e lui con incredibile gentilezza ci ha regalato quella dell’omino che pronuncia appunto questa frase. In rete si naviga, ed è sempre più difficile trovare roba buona, è pieno di porcheriole, di distrazioni e pesci morti, appunto. Secondo me i suoi “pesci morti” rappresentano le fake news, il pattume in generale. Pensi alla piramide
della conoscenza, che al vertice ha la saggezza, alla base il puro “dato”. Beh, non v’è chi non veda che la rete è sempre più piena di “dati”, quasi sempre non validati e non duraturi, quasi sempre di scarso valore, e in tutto ciò c’è un disequilibrio crescente, tanto pettegolezzo, poca riflessione, nessuna saggezza: come un iceberg la cui base spinge verso l’alto, la piramide un giorno si cappotterà, e il vertice della conoscenza sarà schiacciato dai big data, con gran puzza di marciume dovunque, e appunto tanti pesci morti.
Le parole sono importanti anche per chi fa innovazione. “Il linguaggio è il nostro mondo” si potrebbe dire parafrasando una celebre affermazione di Wittgenstein. Il glossario che pubblicate all’interno del volume evoca questa finalità?
Certamente. Le parole hanno significati diversi per i diversi soggetti parlanti, questo fa capire quanto sia difficile costruire qualcosa di buono insieme, figuriamoci se parliamo di innovazione. Mi permetta un semplice esempio: internet è una rete fisica fatta di cavi, piloni, schede in plastica e pezzi fatti con quasi tutti gli elementi presenti sulla Tavola Periodica di Mendeleev. Il web NO. Internet NON è etereo, il web si, dice Giovanna Giordano, fondatrice di Sloweb. Internet consuma materiali, energia elettrica, il suo uso implica produzione di anidride carbonica (e notiamolo: in misura crescente del 15 – 20% annuo, già oggi l’ICT produce CO2 in misura maggiore di tutta l’industria avionica…) Non possiamo dire “internet” intendendo “il web” e viceversa. Si le parole sono importanti.
Il valore della memoria
Specificazione linguistica essenziale, grazie per avercelo ricordato, perché in effetti i due termini vengono quasi sempre usati come sinonimi.
Vorrei ora toccare un altro tema con Lei, quello della Memoria e della eredità digitale, mission importanti per Sloweb, aggiungerei decisive in una società schiacciata sul presente. Che tipo di lavoro state portando avanti su questo delicato terreno?
In Sloweb alcuni di noi si dedicano all’educazione (non solo l’alfabetizzazione) digitale, altri a metodi per includere categorie svantaggiate nell’uso – consapevole – del web. Con Alessandro Macagno e altri io mi dedico per esperienza professionale e storia personale ai temi della memoria e dell’eredità digitale. Su questi campi facciamo tesoro delle esperienze e delle idee di specialisti in psicologia, insegnanti, storici e archivisti, e soprattutto degli utenti di eMemory e di eLegacy e dei responsabili HR, ICT, marketing e strategia delle aziende con cui interagiamo ogni giorno. eMemory e eLegacy sono le piattaforme che abbiamo creato per aiutare famiglie,comunità e aziende a selezionare memorie ricordi e documenti che contano, a valorizzare, a proteggerli in ambienti non profilati, a definirne il destino per poterli tramandare in sicurezza. L’homo sapiens è qui perché ha potuto fermarsi nella caccia e nella raccolta, e attorno a un fuoco raccontarsi di rischi e opportunità, insegnando ai giovani della tribù cosa il futuro può portare, e come affrontarlo. Non dico nulla che non si sappia, ma oggi in troppi non ci rendiamo conto e non combattiamo il fatto che un uso improprio delle tecnologie digitali porta alla perdita di tempo, di riflessione, delle storie, e quindi e presto della identità e della memoria.
Quali sono i pericoli connessi a questa deriva?
Tendiamo a delegare ogni cosa da ricordare al nostro smartphone, e l’età cui inizia la demenza senile si abbassa… e tra perdita di memoria e storia è forse così che l’umanità sparirà, senza sapere chi siamo, senza saper affrontare i rischi di sempre, perché nessuno la sera ci racconterà più del lupo e dei tre porcellini e di quando la nonna faceva il pane per la settimana successiva e per tutto il paese. E nessuno seleziona ciò che è importante; di mia nonna ho 10 foto, e queste bastano per raccontare la sua straordinaria storia di coraggio attraverso il ‘900; di mia madre ne ho 100. Io rischio, se non seleziono e valorizzo, di lasciare 100000 fotografie a mio nipote – e lui cosa farà? Le butterà, perché non gli avrò lasciato – in realtà – proprio nulla. L’eredità digitale è un tema che sta emergendo con prepotenza tra noi: lasciamo ciò che non vogliamo e non lasciamo ciò che importa (incluse le password per i bitcoin, alle volte!). Un grande caos, che richiede una guida giuridica – che con il GDPR inizia ad esserci – e strumenti informatici – che noi prima di altri stiamo predisponendo.
La memoria è un grande patrimonio, mortificato da un processo di rimozione e da una dilagante ignoranza della storia che non può lasciarci indifferenti. Qual è la sua valutazione in merito?
Sulla memoria, e l’importanza di salvare ciò che conta per crescere bene, le racconto una piccola storia. Due anni fa con Alberto Trivero abbiamo fatto fare 500 scatole da scarpe con il marchio di eMemory, in un bel colore arancione, come omaggio per i primi utenti. Ne sono avanzate alcune, e quando incontro un nonno o una mamma gliene regalo una o due, spiegando che sono le scatole della memoria e si usano così: insegniamo ai bambini a tenere conto, apprezzare e valorizzare, piccoli elementi – una fotografia, il ciuccio o il pupazzo, il primo disegno, quella foto particolare – della loro vita. Prima noi adulti, , poi insieme a loro, poi solo loro apriranno di tanto in tanto la scatola, per salvarci un biglietto, un sasso, una cartolina (!). Loro sapranno meglio chi sono, avranno le tracce di sé e avranno imparato a tenerle, e quando a 20 anni magari andranno fuori casa, noi ci metteremo ancora il libretto dei vaccini, e loro potranno portare con sé quello che serve a ricordare chi sono, da dove vengono, e quanto lontano possono andare. A 20 anni avranno già cambiato invece 5 o 10 smartphone, e perso i volti e i cuoricini dei primi amori, e gli infiniti byte di immagini tutte alla rinfusa, ma nella scatola della memoria avranno quello che serve per andare lontano.
Avete creato quella che i greci definivano una koinè di studiosi, intellettuali e domani giovani per riflettere su un grande fenomeno come quello della Rete. Aveva ragione Stefano Rodotà a sostenere la definizione di una costituzione per internet, che rappresenta il più grande spazio pubblico di cui l’umanità abbia mai disposto dall’origine della storia a oggi?
Se tre anni fa pensavo da ingegnere che tutto questo avesse molto a che fare con la tecnologia, sempre di più sto capendo che invece ha a che fare con i diritti, la politica, la filosofia, l’etica appunto; e non dimentichiamo che gli informatici oggi sono i tecnici che più a fondo entrano nella nostra anima, e proprio loro, gli informatici, non hanno studiato né teologia, né psicologia, e neppure i rudimenti dell’etica di base come i medici o gli ingegneri. Non hanno un albo professionale, non rispondo che a sè stessi. Così accade che troppi tra loro pensano che ciò che è tecnicamente fattibile sia automaticamente lecito! E i risultati li vediamo. Quanto a Stefano Rodotà e ai diritti posso dire che provengo da anni di esperienza globale finalizzata a far evolvere il tema della responsabilità sociale dell’impresa da patrimonio di poche multinazionali a norma e linea guida adottate a livello delle Nazioni Unite e non posso che essere d’accordo.
Occorre una dichiarazione dei diritti dell’uomo digitale
Rodotà oltre ad essere un grande giurista ha lavorato molto sulla realtà di Internet e su quella che definiva la “tutela del corpo elettronico”. Sicuramente ci ha visto giusto alla luce dell’evoluzione di questi ultimi anni, non crede?
Si, certo, e aggiungerei pensando al web che in questo campo avremmo un urgente bisogno di una Dichiarazione Universale dei Diritti Digitali dell’uomo (che includa l’impatto ambientale, sociale ed economico del digitale). E aggiungo ancora che l’Europa ha una responsabilità e un’opportunità specifica in merito, grazie al GDPR che – sia detto per inciso – in Nord America molti ci invidiano. A proposito: per sviluppare il software di eLegacy abbiamo lavorato a stretto contatto proprio con legali e giuristi – Pietro Calorio e Alessandro D’Arminio Monforte – e sfruttato appieno il GDPR, che offre possibilità molto vaste. Con eLegacy riconosci la tua presenza digitale come il tuo volto in uno specchio, e grazie al GDPR puoi disiscriverti, cancellare e ordinare i tuoi account, dire cosa DEVE succedere nel caso in cui tu ti ammalassi o morissi: ciò che lasci, ciò che NON lasci, i tuoi diritti ora e per sempre.
Chiuderei con una domanda più generale. Sicurezza e libertà sono i concetti antinomici che segnano da sempre il cammino dell’uomo e in particolare connotano il delicato rapporto tra l’individuo e gli strumenti della tecnologia. È possibile arrivare a un equilibrio virtuoso in questa essenziale polarità?
Più che generale, mi scusi, ma questa è una domanda per altri, per i filosofi della Scienza… Forse Lei si vuole riferire allo sviluppo tecnologico in ambito bellico e ai suoi benefici in termini di sicurezza e libertà? Negli ultimi decenni il mondo è stato più “sicuro e libero” per molti (non per tutti) forse anche grazie allo sviluppo di certi strumenti tecnologici? SI forse è così, ma la risposta non mi sento di darla in termini definitivi, e non dimentico che in realtà il Giappone imperiale si arrese alla Russia e ai suoi fanti, non alle bombe atomiche americane. Su questi temi ci sono molti miti, e mi permetta invece un paio di osservazioni “laterali”.
Prego la ascolto…
La prima: oggi siamo spiati in continuazione; ciò ci rende sicuramente meno liberi, ma molti ritengono che questo sia il prezzo per la sicurezza (i talebani hanno preparato bene il terreno, peraltro). Io non sono d’accordo, e tremo a pensare quante volte nella storia abbiamo già visto – e vedremo – che non le informazioni, ma la mano chi le gestiva, hanno causato distruzione. Se oggi si sia più liberi grazie alle spie digitali dovremmo chiederlo agli studenti di Hong Kong, chiedere loro perché si sono riversati su Telegram dell’esule Durov, abbandonando altri social network degli americani. Dovremmo chiederlo alle vittime del prossimo olocausto, che si consumerà grazie ai big data in poche ore: quello degli ebrei richiese qualche anno, poi in Ruanda in 100 giorni fecero fuori mezzo milione di persone, oggi grazie all’uso delle tecnologie digitali il prossimo genocidio si concluderà in poche ore – troveranno in un decimo di secondo figli, genitori e amici – e con qualche pennellata di fake news tutto sarà dimenticato dopo dieci twitter e quattro like.
Vero e inquietante… La seconda osservazione…?
Oggi le mamme hanno a disposizione dei magnifici guinzagli, corti e lunghi, dorati e leggeri, per tenere al laccio i loro figlioli. Le mamme dicono che sono più sicure, e i genitori sono “sicuri” o meglio sono “rassicurati”. I figli sono più liberi? Vanno dove vogliono, trasgrediscono e imparano? No, nessuno oggi si sbuccia più le ginocchia. I figli stanno al guinzaglio e la sicurezza (dei genitori) è pagata con la moneta della libertà (dei figli). Ma tutto questo cosa comporta? Che i figli crescono in un ambiente protetto, hanno sempre a portata di un bottone cibo e riparo, nessuno gli parla delle cose brutte che potrebbero succedere, non fanno esperienza nel gestire esibizionisti, ladri e truffatori di strada, anzi in strada non ci vanno proprio mai, passano da una macchina a uno schermo, e … semplicemente NON crescono. Da grandi – ma quando saranno grandi? – non sapranno prendere una decisione – che sia politica, che sia di far un figlio, che sia di dire NO – e tantomeno sapranno combattere una guerra, essere solidali con gli altri, godere nell’aiutare il prossimo, crescere nella vera amicizia tra essere umani, nella tribù. Vorrei chiudere così: questo cattivo uso della tecnologia accompagnerà, accelerandola, una seria involuzione delle capacità umane in generale. Anche sul web, a proposito, la libertà la si conquista, non la si può ricevere in dono. Vale lo stesso per la sicurezza. Confido che i giovani sapranno conquistare l’una e l’altra.