L’UOMO E I VALORI DEVONO ESSERE AL CENTRO DELLA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA.
Intervista Vip con Agnese Scappini
Psicologa del lavoro, psicoterapeuta, esperta di comunicazione, scrittrice, Agnese Scappini è un’attenta osservatrice dei fenomeni di trasformazione della società. In questa intervista analizza gli impatti della rivoluzione tecnologica, soffermandosi su due aspetti cruciali: l’evoluzione dei cambiamenti organizzative e delle dinamiche relazionali legate allo sviluppo dello Smart Working e il delicato binomio: internet e minori, connubio ricco di opportunità, ma anche denso di pericoli e insidie.
Professoressa Scappini, la pandemia è stata un catalizzatore di molti processi economici e sociali. Il primo effetto visibile è stato determinato dall’adozione, prima marginale e oggi significativa, dello Smart Working. Quale scenario si apre sulla spinta di questo “strappo” radicale, fino a un anno fa assolutamente imprevedibile?
La Pandemia come tutte le grandi crisi sociali ha provocato più che uno strappo, un’accelerazione drastica di un processo intrapreso nell’ultimo ventennio, con l’avvento di Internet, incredibile e potentissimo strumento. Le potenzialità della rete sono tali da esigere la costruzione di una nuova categoria di valori sociali e civili capace di supportarne la portata e l’utilizzo. Credo che gli scenari futuri saranno sempre più legati alla creazione di un substrato valoriale, per farlo è necessario cominciare a recuperare un po’ del passato che ci appartiene.
Quali rischi e quali opportunità possono arrivare dalla “rivoluzione intelligente” generata dall’uso di massa delle info – appliances, che deve essere accompagnata da consapevolezza, formazione, attitudine al cambiamento da parte del maggior numero di persone possibile, tutti, per dare i frutti sperati?
La “rivoluzione è intelligente” se non si riduce ad essere semplicemente performativa; lo smart working, sebbene sia capace di potenziare i fattori di produzione, porta con sé il grave rischio di ridurre drasticamente le relazioni sociali, a causa del venir meno dello scambio interpersonale e interprofessionale, non mi riferisco solo all’ambito lavorativo. L’attitudine al cambiamento, cui lei si riferisce nella domanda può rafforzarsi solo a condizione di rafforzare la socialità, il confronto costante di storie, competenze, esperienze.
Reale e virtuale hanno aperto il fronte di una “nuova ontologia”. Questa categoria dell’esistente, fondata su una condizione “ibrida”, come va vissuta e interpretata?
Il virtuale si può a mio avviso definire una nuova dimensione dell’essere, “ibrida” sì certamente, comprende la persona e nello stesso momento la ridimensiona o addirittura la supera (in base all’uso che se ne fa appunto). Va precisato che la dimensione virtuale oggi non è più un’alternativa al reale ma ne diviene un prolungamento, questo comporta che l’identità dell’individuo esige una costruzione, oggi molto più accurata che in passato.
“Diario di un pesce in quarantena” è un’interessante metafora, che definisce una condizione. Lei racconta nel suo ultimo libro con efficacia espressiva e capacità immaginifica, questo hannus orribilis dalla prospettiva di un “pesciolino”, per lanciare quale messaggio all’opinione pubblica?
L’immagine di un pesciolino rosso, che si muove dentro un piccolo recipiente d’acqua, esprime la condizione più stringente a cui si possa pensare. Il piccolo animale non sa, però, di essere costretto da pareti, osserva le persone della famiglia con cui vive, che sono a loro volta confinate in casa, improvvisamente privi della libertà di agire.
Il paradosso sta in questo: le condizioni del pesciolino e della famiglia che lo ospita diventano simili. Entrambi in apnea, ma il pesciolino vive nell’acqua, a noi non basta vivere immersi nell’elemento originario, perché è essenziale la comunicazione tra i vari esseri viventi. Siamo esseri in connessione, la nostra linfa vitale viene da questo continuo contatto, dovremmo cercare di non dimenticarlo mai.
Vivere da reclusi ha cambiato il nostro modo di essere, ma anche il profilo delle città che abitiamo. Molte cose fanno pensare che non torneremo più quelli di prima, quale futuro ci aspetta?
La memoria, tema trattato nel suo “Diario”, che peso potrà avere in un mondo che sembra schiacciato sul presente? La memoria è un tema che mi sta a cuore, a cui dedico un capitolo dell’ultimo saggio su cui sto lavorando. Ogni ipotesi e avanzamento verso il futuro esige il recupero della memoria, che deve darci la consapevolezza di quello che siamo stati, di chi eravamo.
“Siamo nani sulle spalle dei giganti”, gli umanisti che avevano rispolverato questo detto che aveva origini più antiche lo sapevano bene, per questo condannavano la dimenticanza, male che caratterizza la nostra epoca. Siamo oggi come predisposti alla condizione ansiogena, nell’attesa di un futuro, privo di quelle certezze acquisite dall’esperienza del passato, questo ci espone alla paura. Schiacciati sul presente, siamo bloccati da una miopia che limita la capacità di progetto e di conseguenza la nostra stessa proiezione verso il domani.
La “luce”, altro elemento da lei trattato. Luce come energia e motore del racconto… Siamo, però, immersi nel “buio” del tunnel del contagio, angosciati da nuove “varianti” che ci tolgono il sonno. Ne usciremo?
Siamo noi la luce, quindi è nostro dovere e responsabilità illuminare, guidare la storia. Il covid più che un momento buio, è un sintomo di un malessere del corpo sociale, come tutti i sintomi deve essere compreso e interpretato, se vogliamo attuare quel salto di paradigma, necessario a cambiare passo.
Difesa dei minori e uso consapevole delle tecnologie. Come va affrontato questo che è destinato a diventare uno dei grandi temi del nostro tempo?
Innanzitutto, affrontiamo sul serio la questione. Non lo stiamo ancora facendo sufficientemente. Quella che diviene necessaria è la disciplina. Nel corso dei parent training che tengo presso il mio studio cerco di guidare i genitori a strutturare una regolamentazione nell’utilizzazione dei diversi dispositivi elettronici. Non ci rendiamo conto che diamo nostri figli in mano un incredibile potere senza che noi per primi disponiamo delle competenze necessarie. Per la prima volta nella storia i genitori conoscono gli strumenti, meno dei figli, questo fa perdere loro quell’autorevolezza necessaria per chi deve fare da guida. Torno, in chiusura, alla prima domanda: dobbiamo strutturare e consolidare un sistema di valori, in assenza del quale il genere umano non potrà sviluppare al meglio le eccezionali potenzialità di cui dispone.
Autore: Massimiliano Cannata