L’ERA DIGITALE? UNA RIVOLUZIONE EPOCALE PARAGONABILE ALLA SCOPERTA DEL FUOCO E DELLA RUOTA
Intervista Vip con Agostino Ghiglia
L’era digitale non è una semplice evoluzione della rete, non è una evoluzione di Internet, è una rivoluzione epocale e culturale. La definirei come una nuova scoperta del fuoco con una differenza molto netta: viviamo dentro questa scoperta alimentando il nostro gemello virtuale per oltre metà della nostra vita vigile. Un fenomeno senza precedenti che richiede conoscenza, educazione, allenamento della testa.
Agostino Ghiglia, che fa parte del Collegio dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, svolge un costante e prezioso lavoro di sensibilizzazione e di studio dell’ambiente digitale, che è ormai il nostro mondo, quello in cui viviamo immersi come in una dimensione omeopatica. Con la collaborazione di Alessandra Genisio e Silvia Sequi, ha dato alle stampe “Educazione civica digitale” (ed. Apogeo), un brillante scritto sui percorsi di sviluppo dell’information society.
Comincerei la nostra conversazione traendo spunto dal “manuale delle banalità sconosciute”, come Lei stesso lo ha definito. Come nasce questo interessante progetto editoriale?
Partiamo da un assunto che può fare da premessa ad ogni riflessione successiva: in una società digitale non conoscere a sufficienza i “nuovi alfabeti” connessi alla strumentazione tecnologica, è come non conoscere la lingua del Paese nel quale si vuole lavorare e affermarsi. Sta accadendo questo, ad una porzione molto ampia della popolazione. Ce ne accorgiamo quando lasciamo i nostri figli davanti al cellulare, per poter ottemperare alle nostre faccende e attività, abitudine molto diffusa per altro. L’errore che commettiamo è semplice: pensiamo che essere nativi digitali vuol dire avere piena consapevolezza e conoscenza dei rischi. Vediamo i piccoli già bravissimi a manipolare cellulare e tastiere, perché preoccuparci? In realtà il vero pericolo di oggi è dato da un eccesso di informazione e da una grave assenza di educazione. Torniamo dunque all’ABC, all’abbecedario essenziale, quello che ci ha guidato fin da bambini alla conoscenza e alla “lettura” del mondo. Il manuale nasce così.
La scuola è centrale in questo ragionamento che sta facendo, ed è anche nell’occhio del ciclone per quello che ogni giorno avviene e che la cronaca ci racconta. Che riflessione dobbiamo fare in proposito?
Fin dal primo ciclo scolastico bisogna imparare a comprendere i significati di tante parole che usiamo con superficialità. La Competenza digitale passa attraverso un uso appropriato del linguaggio che, come diceva Heidegger, è “la casa dell’essere”. Il deficit dell’Italia in questo ambito risulta molto evidente rispetto ad altri Paesi Europei. Bisognerà aumentare sforzi e investimenti a tutti i livelli, non mi riferisco solo alla scuola ovviamente, penso alle istituzioni e alle imprese che devono essere coinvolte in un piano educativo che ci consenta di esercitare una cittadinanza piena, bilanciando diritti e doveri nuovi, nell’orizzonte mutante dell’information society.
Alleniamo testa e muscoli per capire il digitale
Lei è uno dei Componenti del Collegio del Garante per la Protezione dei Dati Personali. Che funzione può e deve avere l’Authority in questo impegnativo cammino di sensibilizzazione ai temi della sicurezza digitale?
Molto stiamo già facendo per equilibrare una corsa frenetica che non sappiamo ancora bene dove ci porterà. Ad un anno dal lancio di chat GPT l’intelligenza generativa è esplosa, siamo di fronte a una rivoluzione nella rivoluzione. Se la corsa va verso l’ammodernamento della nazione, fa bene a tutti, ma in questa corsa come fa ogni buon runner dovremmo allenare i muscoli e sottolineerei la testa, in questo caso. Torna il tema dell’education e della cyber sicurezza, fattore centrale nel discorso che stiamo facendo. Non penso solo ai più giovani, ma anche agli adulti che spesso subiscono la tecnologia senza approfondire il fenomeno che si trovano di fronte. Siamo portati a dare il nostro consenso ai cookie senza sapere di cosa è fatto il tessuto profondo delle parole. Non dico che bisogna imporre pagine e pagine di norme prima di aprire un sito, ma almeno imparare a “navigare” in sicurezza con poche semplici indicazioni sarebbe già un bel passo avanti. Ricordiamoci che la tecnologia non è più neutra come si pensava in passato, può diventare molto pericolosa se usata in modo sbagliato.
Cosa si può concretamente fare per innalzare il livello di sicurezza nella fruizione di questi straordinari, ma anche “insidiosi” strumenti?
Faccio qualche rapido concreto esempio. L’Authority solo quest’anno ha limitato l’utilizzazione di tre chatbot, due anni fa fummo costretti a bloccare TikTok perché aveva dei meccanismi insufficienti di verifica anagrafica. La maggior parte delle piattaforme sono sprovviste di misure di protezione, sono di fatto dei gate aperti, fuori controllo. Per questa ragione stiamo lavorando di concerto all’AGCOM per mettere a punto dei processi rigorosi di verifica anagrafica. Abbiamo bloccato l’uso di “replika”, un chatbot sentimentale, che dopo un primo approccio amicale fa spingere oltre gli utenti, chiedendo somme di denaro, senza alcuna garanzia in termini di sicurezza del trattamento dei dati sensibili.
A proposito di misure di contenimento della violazione della Privacy. Recentemente il Garante ha lanciato un alert molto importante sul webscraping, Possiamo spiegare la natura dell’intervento?
Si tratta di un’indagine conoscitiva sui siti internet pubblici e privati che abbiamo messo in atto per verificare l’adozione di idonee misure di sicurezza adeguate a impedire la raccolta massiva, che si definisce appunto webscraping di dati personali a fini dell’addestramento degli algoritmi di intelligenza artificiale da parte di soggetti terzi. Questo “rastrellamento” indiscriminato di dati, che tutti noi forniamo con finalità precise e limitate, viene operato a nostra insaputa per conoscere abitudini, gusti, interessi, attività che attengono alla nostra sfera più intima. Il divieto intimato da Mediaset a Open AI di utilizzare dati reperibili sui propri sistemi aziendali per “allenare” gli algoritmi” avvenuto nei giorni scorsi, è destinato a fare “scuola” e a inaugurare una tendenza che prenderà certamente piede nel prossimo futuro.
Il destino della nostra identità in Rete e il Metaverso
Fenomeni nuovi quelli di cui Lei parla, con cui dovremo imparare a rapportarci e che hanno a che fare con il destino della nostra identità in rete. Il primo lemma del suo vocabolario non a caso è: “Account”. La nostra identità in rete, che va a comporre quello che Stefano Rodotà definiva “il nostro corpo elettronico”. Questione non da poco, non crede?
Stefano Rodotà ha posto per primo la grande questione della protezione dei dati personali nella società telematica. L’account è la visualizzazione della nostra identità virtuale. Non possiamo comprendere quello di cui parliamo se non ci rendiamo conto che l’era digitale non è una semplice evoluzione della rete, non è una evoluzione di Internet, è una rivoluzione epocale e culturale. La definirei una nuova scoperta del fuoco. Non è un’iperbole.
In che senso, può spiegarcelo?
Quando l’uomo scoprì il fuoco, non passava tutta la vita usando o “giocando” col fuoco, e neanche con la ruota. Oggi, i nostri ragazzi tra gli otto e i diciannove anni passano oltre la metà della vita vigile in rete. Un fenomeno antropologico che ha una portata senza precedenti. Da quando ci svegliamo e guardiamo l’ora sul telefonino, creiamo il nostro gemello digitale, che cresce con noi nel corso della giornata. Entriamo in rete impariamo molte cose, è vero, ma diamo anche cose preziose, dati e informazioni su di noi. Nell’era digitale la persona è un “dato” ed è fatto oggetto di aggressione, manipolazione, patrimonializzazione, scambio, violenza.
A proposito di violenza. Bambini e Internet, cyberbullismo e non solo. Le chiederei di toccare rapidamente questo ulteriore fronte molto delicato. A che punto siamo?
L’educazione civica serve oggi come ieri. Le norme di buona educazione aiutano anche nella information society con un’aggiunta: uno dei pericoli della rete è la defisicizzazione del male. Pensiamo a quanto avvenuto a Caivano. Ho compiuto un atto violento, me ne rendo conto ex post a mente fredda, certo, ma c’è qualcosa che va oltre. Dopo aver brutalizzato una persona, filmando il suo dolore la stupro per l’eternità, questo spesso sfugge alla coscienza. Forse non ci rendiamo conto, che la defisicizzazione e la diseducazione digitale estende il male medesimo, lo rende “metafisico” incontrollabile. È un fatto molto grave, la perdita dell’uso del corpo, della fisicità, ci fa perdere ogni autocontrollo ogni rispetto dell’educazione e della continenza.
Intanto si affaccia il metaverso. Le chiedo in conclusione: è un’agorà ancora tutta da esplorare?
Siamo diventati testimoni inconsapevoli della più grande campagna pubblicitaria mediatica della storia. Un bel giorno Mark Zuckerberg fa proprio il termine molto evocativo coniato da Neal Stephenson, ma cosa c’è dietro? Ad oggi è una suggestione vuota. Una realtà aumentata, non una novità. Non esiste una interoperabilità tra i 235 metaversi fino a ora censiti che aumentano ogni giorno. Provocatoriamente li chiamerei ultraversi per evitare pubblicità occulta a un solo brand. Mi riservo comunque il giudizio. Se la potenza di calcolo dei PC consentirà una reale interoperabilità tra le piattaforme, potremo sperimentare una vita virtuale in questi “altri mondi”, posto che iniziativa utile, piacevole, vantaggiosa, chi lo sa…. Ne riparleremo molto presto, credo…
Autore: Massimiliano Cannata