Nel mondo sempre più connesso di oggi, la guerra, da tempo, non si combatte più solo con armi convenzionali e si parla sempre più spesso di contesto ibrido. Una nuova frontiera del conflitto si gioca nel cyberspazio. Tra le armi digitali più diffuse e meno costose ci sono gli attacchi DDoS – Distributed Denial of Service – capaci di mettere fuori servizio siti web, server e infrastrutture critiche.

In molti casi, questi attacchi non sono solo frutto di cybercriminalità comune, ma rappresentano strumenti geopolitici veri e propri, usati da Stati e gruppi affiliati per indebolire, spiare o intimidire rivali internazionali. Un attacco DDoS mira a rendere inaccessibile un servizio online sovraccaricandolo di richieste.

In pratica, migliaia o milioni di dispositivi (spesso infettati da malware e controllati da remoto, formando una “botnet”) inviano traffico simultaneo a un bersaglio finché non collassa o smette di rispondere. A differenza di un normale attacco hacker, il DDoS non viola i sistemi per rubare dati, ma punta a bloccare la funzionalità del servizio. È una forma di “saturazione” digitale che mira a disturbare, danneggiare economicamente o inviare un messaggio politico. Ovviamente in questo caso non siamo del dominio dell’accesso abusivo ai sistemi, ma comunque abbiamo un tema di indisponibilità del dato.

Il DDoS è diventato uno strumento geopolitico per le seguenti motivazioni:

  • Costo basso, impatto alto: Non servono risorse enormi per lanciare un attacco efficace. È possibile affittare botnet per poche centinaia di euro e causare danni da milioni.
  • Negabilità plausibile: È difficile risalire con certezza all’origine dell’attacco, il che permette agli Stati di agire indirettamente, usando gruppi proxy.
  • Obiettivi flessibili: I DDoS possono colpire governi, banche, media, infrastrutture critiche, aziende. Il loro effetto può essere destabilizzante, anche senza causare danni permanenti.

Gli attacchi DDoS non causano solo disagi tecnici. Il loro impatto si estende su più livelli:

  • Psicologico: un attacco DDoS contro un sito governativo può alimentare il senso di vulnerabilità.
  • Economico: la paralisi di servizi bancari o e-commerce può tradursi in perdite concrete.
  • Propagandistico: sono atti visibili, facili da rivendicare, e spesso vengono usati per fare notizia.

Negli ultimi anni, i governi occidentali hanno cominciato a rafforzare la propria capacità di difesa e risposta ai DDoS. La NATO, inoltre, ha incluso la cyberdifesa tra i suoi compiti fondamentali, e l’Unione Europea ha varato la EU Cybersecurity Strategy, con investimenti su CERT (Computer Emergency Response Teams) nazionali e sovranazionali. Il rischio maggiore è che gli attacchi DDoS diventino solo la punta dell’iceberg in un conflitto digitale più ampio.

Se finora sono stati usati per destabilizzare o mandare segnali, potrebbero in futuro essere combinati con attacchi distruttivi contro infrastrutture critiche: centrali, ospedali, reti elettriche, trasporti. Gli attacchi DDoS sono oggi armi geopolitiche a tutti gli effetti e la loro semplicità tecnica nasconde un potenziale destabilizzante enorme, soprattutto se usati in coordinamento con altre forme di aggressione; fisica, informativa o economica.

Nel contesto geopolitico attuale, dominato da tensioni tra grandi potenze, conflitti regionali e instabilità globale, la guerra cibernetica è già realtà, e i DDoS sono uno degli strumenti principali di questo nuovo arsenale. Prepararsi a difendersi da questi attacchi non è solo una questione tecnica: è una questione di sicurezza nazionale.

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