Autore: Massimiliano Cannata

Il saggio di Francesca Re David frutto di un’appassionante conversazione con Lelio Demichelis “Tempi (retro) moderni. Il lavoro nella fabbrica-rete” (ed. Jaca Book), interroga il lettore sul destino del Sindacato, ma sarebbe più corretto dire sul futuro del lavoro nella digital society.

Oltre la fabbrica, intesa come tradizionale luogo della produzione fisicamente bel delimitato, nella nuova realtà dell’”impresa rete”, c’è una nuova

importante partita da giocare: la difesa del lavoro e dei Diritti fondamentali. Viviamo il tempo delle contraddizioni, una strana epoca in cui ai bagliori del progresso tecnologico stanno facendo da contraltare una crescente sensazione di precarietà, di paura, di incertezza. Risalire la china, invertendo una tendenza negativa che ha assunto i toni drammatici della crisi, è un imperativo che impone a governi e istituzioni di alzare la soglia dell’attenzione. Consapevole di tutto questo, l’autrice alla guida della FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici) lancia un messaggio molto preciso: senza l’azione puntuale del sindacato sarà difficile attuare il disegno di una società più giusta, che possa scandire una linea di progresso reale della storia.

Che si potesse aprire una fase di riflessione in tema di civiltà del diritto c’era da aspettarselo. Negli ultimi anni una certa “cattiva” politica, aveva provato a marginalizzare il ruolo dei corpi intermedi, in nome di una disintermediazione dei processi, che di fatto sta rischiando di minare le fondamenta della democrazia occidentale. Per comprendere appieno i pericoli connessi alla deriva “tecnopolitica” è utile richiamare l’insegnamento di Stefano Rodotà: “Nel nuovo spazio globale delle reti digitali – ha scritto il grande giurista – senza un’adeguata evoluzione del diritto, non ci potrà essere né democrazia, né pace tra i popoli mentre stiamo assistendo alla profilazione di nuove modalità di acquisizione del consenso, alle quali non sempre corrisponde una nuova distribuzione del potere. La dimensione della democrazia elettronica non deve essere confusa con la possibilità di essere chiamati a dire un sì o un no, che viene alla fine di un processo di decisione interamente gestito da altri”. Particolarmente eloquente è stato anche il nostro Presidente della Repubblica, che a Modena in occasione della commemorazione della tragica scomparsa del giuslavorista Marco Biagi ha detto, senza usare mezzi termini: “La teoria secondo la quale occorre emarginare i corpi sociali intermedi ha reso tutti fragili”.

Per avere l’idea della profondità del “baratro” dentro cui stiamo rischiando di cadere basta osservare con spirito critico l’attualità.

Mentre gli “algoritmi” decidono chi e dove assumere, i fatti di cronaca ci parlano continuamente di una percentuale drammatica di morti sul lavoro (fenomeno che grida vendetta nel contesto di una società che si dice evoluta e ipertecnologica), della quantità di esuberi generati dalle crisi aziendali, oltre 800 posti in ballo nel caso Sirti, 600 nel gruppo Carrefour, intanto si temono notizie analoghe provenienti dalla grande distribuzione cooperativa. Esiste, inoltre, una preoccupante tendenza al ridimensionamento e alle ristrutturazioni che andrà tamponata al più presto, i casi di Embraco, Amazon, passando per Ryanair e all’ex Seat pagine Gialle, per non parlare della triste vicenda della Thyssenkrupp, mettono sul piatto la grande questione della difesa dei diritti inalienabili dei lavoratori. Diritti spesso calpestati, in un totale disconoscimento dei valori della libertà e della dignità dell’uomo, che sono costati secoli di guerre e di faticose conquiste.

“Governare il cambiamento”, (tema che verrà dibattuto non a caso sarà al centro dell’XI Congresso SNFIA che si terrà sul Lago di Garda dal 2 al 4 aprile del prossimo) vorrà dire prima di tutto creare le condizioni perché si possa affermare la prospettiva di un “neoumanesimo” solidale, in cui le imprese dovranno prima di tutto porsi il problema di coniugare etica e business, interpretando nella chiave più alta e impegnativa la mission di una responsabilità sociale. Bisognerà, in una parola, tornare a battersi, come suggerisce in uno dei suoi ultimi scritti il grande sociologo francese Edgar Morin), per una “globalizzazione dei diritti, non solo dei mercati”, per rispondere alle esigenze primarie di milioni di individui, che vivono ai “margini”.

Lo studio ha il merito di evidenziare molto bene i lineamenti di un capitalismo che ha mutato profilo e dinamiche, nel contesto che vede una “frantumazione del lavoro” e un’eclissi della Politica (con la p maiuscola). La “metamorfosi” che ha subito un’accelerazione preoccupante in questo difficile decennio segnato dalla crisi, ha avuto origine nella progressiva finanziarizzazione dell’economia, che ha finito col condizionare le scelte decisive di una classe dirigente che troppo spesso ha dimostrato di non essere all’altezza dei compiti. Sono così venuti meno gli assetti organizzativi e produttivi, che avevano retto dalla rivoluzione industriale ad oggi, in una combustione di idee, ma soprattutto di valori che ha lasciato un senso di incertezza, precarietà e disorientamento, molto diffuso nella collettività. Non è ancora chiaro verso quali equilibri stiamo andando.

“Cambiata la scacchiera”, come spiega molto bene Alessandro Baricco nel suo bellissimo saggio sulla civiltà digitale “The Game”, è mutato anche il nostro assetto mentale e il nostro metodo di conoscenza del mondo. Ora bisogna ritrovare un equilibrato rapporto tra uomo e macchina, per non far risorgere una parola – chiave che attraversa la trattazione: “alienazione”. Pensavamo che fosse tramontata, con la fine dei Tempi moderni di Chaplin, invece è un termine che risorge, nell’orizzonte di un neo proletariato tecnologico, fuori dal recinto ideologico della lotta di classe, ma di certo non meno destabilizzante per la vita di milioni di individui nei diversi angoli del Pianeta.

 

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