CONSAPEVOLI MA “PIGRI”
GLI ITALIANI SUL WEB SENZA PROTEZIONE
Un interessante paradosso è recentemente emerso da alcune ricerche focalizzate sulla sicurezza informatica: i giovani, (si badi non solo italiani perché in Europa non accade nulla di diverso) sebbene consapevoli delle numerose insidie della rete, navigano senza utilizzare alcuno strumento di protezione informatica che possa tutelare la loro identità e la loro privacy. Il fatto che la pandemia abbia costretto un numero rilevante di persone a lavorare in regime di Smart Working non ha contribuito a migliorare il quadro: la soglia dell’attenzione rispetto alla cybersecurity rimane bassa, questa strana “pigrizia” regna insomma sovrana. Aspetto ancora più interessante, rilevato da questi studi, risiede nella scarsa propensione ad investire in sicurezza, mostrata da molte aziende. Questa riluttanza in parte può essere spiegata: i lavoratori che operano in smart working vorrebbero (giusto atteggiamento se misurato da una prospettiva meramente sindacale) che siano le aziende a fornire loro gli strumenti per la tutela dei dati e dei sistemi informatici su cui lavorano; rimane però grave il rifiuto di investire in mezzi di protezione (antivirus, antimalware, ecc.). Proteggere i dati personali insieme a tutto ciò che attiene all’identità digitale e alla sfera più intima è una “pratica” necessaria, perché prima di lavoratori bisogna ricordarsi che siamo cittadini, che vivono ormai immersi nell’infosfera. Appare, insomma chiaro, che rimane il cosiddetto “fattore umano” l’anello debole della catena. In un momento storico in cui lo smart working è ormai diventato modalità diffusa, mentre in gran parte del mondo la popolazione è costretta a stare chiusa in casa, la superficialità in tema di sicurezza delle reti può essere fatale, per sistemi economici ormai allo stremo.
Arturo Di Corinto, giornalista esperto di sicurezza informatica ha affrontato queste problematiche in un’intervista realizzata da Massimiliano Cannata per GCSEC : “la sicurezza informatica gioca un ruolo fondamentale nelle nostre vite”, ha dichiarato l’esperto, “ci dobbiamo abituare all’idea che con la pandemia, ed eventualmente le prossime pandemie, saremo obbligati a stare a casa e a mantenere una distanza sociale oltre che fisica delle persone con cui eravamo abituati a stare insieme e a condividere lo stesso spazio fisico. Diventa perciò fondamentale che le attività umane si trasferiscono nel cyberspace è importante che le transazioni svolte attraverso questi dispositivi siano protette.”
Nel suggerire i migliori sistemi di tutela e le pratiche da attuare per “navigare sicuri” Di Corinto ammonisce: “molti di noi pensano proteggere i dati e le informazioni che ci riguardano, non sia così importante. Approccio sbagliato perché un criminale informatico non è detto che sia interessato esattamente al nostro profilo su FB o al messaggio via whatsapp scambiato con la fidanzata, ma può utilizzare quel messaggio, quel profilo, quella mail per comunicare con chi vuole come un ponte per entrare nella vita di qualcun altro. Un esempio per capirci: immaginiamo di avere uno zio presidente di una commissione parlamentare o che nostro cugino firmi per il comune le carte del catasto, e così via. Anche chi non ha nulla da nascondere si porta dietro la chiave di casa dopo aver ben chiuso la porta: perché per le nostre identità digitali non facciamo la stessa cosa?”
La sottovalutazione delle insidie del web resta, purtroppo, ancora il più grande ostacolo a uno sviluppo delle infrastrutture di rete che possa consentire una digitalizzazione equilibrata e matura della società in cui viviamo. La strada che resta da fare, è ancora lunga e irta di ostacoli. Diffondere in sempre più vaste aree della popolazione la giusta consapevolezza, che si traduca anche in opere fattive, sarà sicuramente importante. Le istituzioni hanno un compito decisivo in questa partita, ma a proteggere i nostri dati dobbiamo pensarci noi per primi.
Autore: Marianna Cicchiello