IL DIGITALE DALLA A ALLA Z. UN DIZIONARIO PER COMPRENDERE LA RIVOLUZIONE IN CORSO
Intervista VIP con Pieraugusto Pozzi
Il “piccolo dizionario della grande trasformazione digitale”, edito da Aras”, è un’iniziativa costruita attraverso la collaborazione di esperti ed accademici di diversa estrazione ed esperienza che fa tornare alla mette una celebre affermazione del Tractatus di Wittgenstein “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”.
Prof. Pozzi Lei ha curato questa originale operazione, con quali finalità?
Con gli autori che mi hanno affiancato nella ricerca abbiamo pensato che il modo migliore per capire questo universo digitale in espansione, e anche per intravedere la materia ed energia oscura che contiene, fosse scrivere un dizionario che parlasse dei nuovi mondi, galassie e protagonisti che lo formano.
Lo studio serve a riflettere intorno alle parole e ai concetti chiave del nuovo universo digitale, che ha avuto origine con il Bit Bang che ha segnato la convergenza digitale, unificando ambiti, mercati, culture prima nettamente separati, quali: informazione, editoria, media, pubblicità, istruzione, cultura di massa.
“Il digitale è un nuovo ordine, non semplicemente un passaggio evolutivo”, così si legge nell’introduzione. Alla luce di questa affermazione, quali scenari si aprono per il prossimo futuro?
Molti autori parlano giustamente di rivoluzione e di trasformazione digitale. In questo lavoro abbiamo piuttosto voluto riprendere l’intuizione di Karl Polanyi, che a metà del Novecento aveva evidenziato come la grande trasformazione industriale fosse stata generata dalla capitalizzazione di terra, denaro e lavoro. La trasformazione digitale, di converso secondo noi, si sta compiendo nella capitalizzazione di dati, informazioni e conoscenze, che stanno di fatto segnando una nuova categoria ontologica. Stiamo sperimentando una profonda trasformazione dell’economia, della politica, della scienza, che sono gli asset di riferimento che avevano caratterizzato la modernità, e che oggi ridefiniamo come: tecnoeconomia, tecnopolitica, tecnoscienza.
Un diverso orizzonte si sta dunque facendo strada, siamo preparati ad affrontarlo?
Parlerei piuttosto di un nuovo ordine iper-moderno dell’universo digitale, amplificato e accelerato dall’emergenza pandemica che ci ha costretto ad adottare gli strumenti del digitale per continuare, in remoto, ad avere relazioni e a svolgere tutte le nostre attività di lavoro, di studio, di relazione. Per dirla con Edgar Morin sono tutte tracce di quella “metamorfosi digitale” con cui dobbiamo imparare a fare i conti.
Essere digitale come nuova categoria ontologica
Da algoritmo a Generazione Z si snoda il vocabolario della quarta rivoluzione. Qual è il fil rouge di questo affascinante percorso?
Per avere un obiettivo praticabile in tempi ragionevoli, abbiamo pensato di lavorare su ventisei parole chiave, una per ciascuna lettera dell’alfabeto internazionale. Il primo avvincente lavoro fatto con la squadra interdisciplinare degli autori (una linguista, uno storico, un filosofo, tre ingegneri) è stata la scelta delle parole, dei lemmi da compilare.
Chiaro il fil rouge: il digitale è il motore di una trasformazione in fieri, che non è limitatamente tecnologica ma profondamente culturale. Questo richiede la comprensione di parole molto usate nella quotidianità e importate dall’inglese come policy e key, redatte da Silvia Boero, linguista che vanta una lunga esperienza accademica negli Stati Uniti, accanto alle voci più tecnologiche curate da colleghi con un profilo ingegneristico, Riccardo Poggi e José Cerruto.
Non solo concetti, ma anche personaggi, come Steve Jobs e Xi Jinping. Viene da chiedersi: cosa avranno in comune?
Potremmo dire che è il fattore “D”, come digitale, che li accomuna, nel senso che in ogni voce del dizionario e, in particolare nell’illustrare i personaggi che lei ha menzionato nella domanda, abbiamo cercato di far capire quale sia stato il contributo che hanno offerto alla trasformazione digitale e come la loro stessa esperienza di vita sia stata, come per molti di noi, modificata dal digitale.
Intelligenza artificiale e impatti geopolitici, un nesso spesso trascurato.
Cosa c’è da capire su questo delicato terreno? In questi ultimi mesi, molti scienziati della politica e molti esperti di geopolitica cominciano ad occuparsene seriamente. Se Bremmer parla di momento tecnopolare, nel quale sono i poteri digitali a ridisegnare l’ordine mondiale, Kissinger, Schmidt e Huttenlocher parlano di epoca dell’intelligenza artificiale. Concretamente, mi pare che il caso Cambridge Analytica e i fatti di Capitol Hill abbiano dimostrato l’importanza della tecnopolitica digitale.
Del resto, diversi leader politici, con accenti diversi, lo avevano compreso da tempo: Merkel (2016): “la trasparenza e la negoziabilità degli algoritmi afferisce ormai alla natura e alla sicurezza della democrazia”; Putin (2017): “chi controllerà la migliore intelligenza artificiale, governerà il mondo”; Xi Jinping (2017): “l’intelligenza artificiale cambierà profondamente il mondo e la vita umana e sociale… questo strumento consentirà un governo più efficiente e sarà indispensabile per mantenere la stabilità sociale”.
La stessa opinione pubblica ha mutato il suo profilo con la rivoluzione digitale. Abbiamo una opinione di sciame condivisa in varie bolle. Cosa vuol dire in concreto?
Significa che lo spazio pubblico della comunicazione, discussione e del confronto ideale e culturale che abbiamo conosciuto, con tutti i suoi limiti e l’orientamento al mainstream, è sempre più minoritario rispetto allo spazio privato e personalizzato delle piattaforme. In modo che il dibattito delle idee che si svolgeva nella sfera pubblica analogica regolamentata è diventato il mercato delle verità alternative, profittevoli e ingannevoli della sfera privata digitale deregolamentata.
La risultante è data da una società che ha picchi virali di attenzione su singoli (importanti) aspetti di discriminazione, diseguaglianza, privilegio e spreco, sui quali però non opera una macchina ideale della ragione, dei sentimenti condivisi, dell’empatia, ma quasi sempre una macchina digitale del fango, che produce irrazionalità, emozioni negative, risentimento, attivando processi di individualizzazione e tribalizzazione che spezzano il legame sociale. Sono tutti fenomeni che la pandemia ha certamente acuito.
Storia e memoria in una società schiacciata sul presente
Il tema della memoria e il valore della storia hanno mosso l’ASC (Associazione di Storia Contemporanea) che ha promosso la ricerca. Quanto pesano questi fattori in una società superficiale che sembra voler rimuovere il passato, schiacciata come appare sul presente?
È stato determinante il ruolo di ASC e del suo presidente Marco Severini, che ha partecipato alla stesura del dizionario anche in qualità di autore (tra le altre, da ricordare le voci contemporaneità ed etica, n.d.r.), creando i presupposti necessari a perseguire l’obiettivo di interdisciplinarietà che volevamo connotasse la ricerca e che ne aveva ispirato l’idea iniziale, elaborata con Roberto Cresti, filosofo e autore delle voci memoria e umanesimo, e, come Severini, docente all’Università di Macerata.
Siamo preoccupati del fatto che, in luogo di una vera conoscenza storica, fondata su una visione complessiva e prospettica, si faccia strada un approccio cumulativo e informativo, schiacciato sul presente, superficiale, incapace di usare a dovere gli immensi giacimenti documentali disponibili. A queste condizioni la storia, che non è una scienza esatta, ma una disciplina di rigore scientifico, finisce col lasciare spazio al negazionismo (cioè al rifiuto ideologico di ammettere alcuni fatti del passato) o a comode interpretazioni, che si manifestano nelle sembianze delle cosiddette “verità alternative”, che possono diventare, sovente con il discutibile sostegno di atti legislativi, verità assolute.
Umanesimo digitale è una etichetta oggi spesso abusata. Qual è il giusto valore che va dato al rapporto tra etica, scienza e filosofia?
Il dizionario è stato pensato come strumento di un’autentica società della conoscenza, capace di esprimere consapevolezza e coscienza del presente e del futuro di un’umanità finalmente libera dal peso di apparati cognitivi artificiali sempre più perfezionati e pervasivi. Con gli altri autori abbiamo cercato di produrre un lavoro improntato all’umanesimo digitale, in linea con il programma proposto intelligentemente da Julian NidaRümelin e Nathalie Weidenfeld in “Umanesimo digitale. Un’etica per l’epoca dell’Intelligenza Artificiale”.
Il binomio sicurezza e libertà, come stiamo vedendo in questi tempi di emergenza, è una dicotomia chiave della contemporaneità. Sistemi pubblici e privati sono preparati alle sfide che abbiamo di fronte?
Senza dubbio, il digitale impatta il principio e l’esercizio di sovranità nei settori che sono stati il cardine degli Stati moderni: moneta, difesa, istruzione, sanità, fiscalità e giustizia. Settori tutti sfidati dalla trasformazione digitale, che ne muta gli assetti organizzativi e la missione essenziale. Basti pensare alla statistica (disciplina che definisce i sistemi e i metodi di raccolta, ordinamento ed elaborazione dei dati) che, come ricorda il suo etimo, si sviluppa storicamente per rafforzare la capacità di governo degli Stati nazionali attraverso la raccolta e l’elaborazione di dati demografici, sanitari, scolastici, amministrativi.
Negli ultimi decenni, prima la digitalizzazione e soprattutto la datificazione, hanno portando un volume costantemente crescente di dati di interesse pubblico verso le grandi piattaforme private globali. Un esempio molto chiaro lo abbiamo avuto dall’accidentato sviluppo delle applicazioni di tracciamento nella crisi pandemica che ha richiesto, almeno nei paesi occidentali, l’accordo con Apple e Google, detentori della tecnologia operativa degli smartphone.
Vanno anche segnalate le minacce portate alla giurisdizione, alla sovranità e alla sicurezza degli stati nazionali. Gruppi criminali e terroristici, imprese ed “agenzie private”, usando mezzi digitali, possono portare alle infrastrutture, alle istituzioni e alle comunità attacchi sempre più rapidi e sofisticati, con gravi conseguenze sul pano economico, ma anche geopolitico.
Per queste ragioni appare davvero fondamentale che la sicurezza digitale possa disporre di un presidio professionale, qualitativamente alto in grado di ridurre le vulnerabilità dei tanti colleghi che ci leggono e che svolgono ogni giorno con passione e dedizione il loro lavoro.
Autore: Massimiliano Cannata