Un anno dopo la pubblicazione, come editore, del fondamentale Routledge Handbook of Military Ethics (2015), George Lucas ci offre una rivista completa del rapporto tra etica e realtà del mondo cyber. Il testo è così appassionante che ad ogni pagina invoglia il lettore a saperne di più continuando a leggere. L’autore sa combinare con brio uno stile a dir poco straordinario con asserzioni choc e non raramente commentari cinici, illustrati da Il concetto di base di Lucas è che, esattamente come gli eserciti devono ormai combattere quasi esclusivamente contro nemici non-convenzionali e quindi adattare le proprie regole etiche di guerra – o talvolta persino rinunciarvi – il campo del ”cyber” è un altro mondo dove gli Stati, gli eserciti, le agenzie di intelligence, ma anche ogni individuo deve imperativamente riconsiderare le sue convinzioni morali. Dopo aver tracciato il grande quadro delle principali minacce di chi sa usare il cyber warfare, il testo ci incita ad imparare a distinguere le attività criminali da quelle legate al warfare, e si domanda non senza ironia se esiste ancora un ruolo per l’etica e la legge in un cyber conflitto. Impariamo a seguito quali sono per il mondo anglosassone i diversi tipi di ”etica” che si affrontano: la ”Folk Morality”, i quadri legali e normativi, e la teoria del ”Just war”. Questa descrizione è utile per situare il dibatto e tornare alla base fondatrice di qualsivoglia etica: una morale comunemente accettata. Con un cinismo dichiarato, ci richiama alla filosofia greca nel capitolo ”If Aristotle Waged Cyberwar: How Norms Emerge from Practice”, per ribadire che solo da una morale comune già adottata nei comportamenti quaotidiani può emergere un consenso sull’etica. A seguire, insiste sulla forma mentis sbagliata che molti hanno oggi, ovvero di considerare leggi e norme sullo stesso piano. Indica in particolare il mondo degli affari, dove regna una tremenda confusione in funzione dei settori di attività, e dove spesso i regolamenti sono considerati a torto come leggi. Lucas insiste sul fatto che in tutta la storia umana, ci sono stati motivi ben precisi, in governance pubblica, nella scelta di inserire un obbligo o un altro nel testo di una legge, di un regolamento o di una direttiva.
L’ultimo terzo del volume ci immerge nel dilemma morale causato dal desiderio di anonimità che va al contrasto di quello di privacy. Le problematiche legate ad ognuno di questi concetti fanno che, nel campo della cybersecurity, anonimato e privacy sono diventati veri e propri antagonisti, contrariamente alla credenza diffusa nell’opinione pubblica.
La fine del libro, volontariamente polemica per incitarci alla riflessione sull’etica che ognuno di noi dovrà trovare, analizza la morale e l’etica sia dei ”whistleblowers” che della NSA e di altre agenzie di intelligence. Lucas spiega che se volessimo essere coerenti, dovremmo considerare tutte e due le categorie come immorali, ognuna nella sua propria ricerca di ”essere morale”, come ben sottolinea con una affermazione senza appello: ”And so – like all those who wage war, use deadly force against other human beings, lie, cheat, and steal – Mr. Snowden must be called to account for his actions”.
Questo libro è semplicemente un ”must” per tutti quelli interessati a capire i bisogni vitali di mettere a punto almeno una dose ad minimam di morale e di etica nel campo digitali. Come afferma, giustamente, questa riflessione è vitale per noi europei. Vogliamo continuare ad essere i custodes della democrazia? Allora dobbiamo capire che un sistema che implica oneri e doveri sia per lo Stato che per i cittadini, è nato e può funzionare solo su di una base morale ed etica stabilita e nota a tutti. Lucas ci offre poi un decalogo vastissimo di chiavi per riuscire a rispondere positivamente a questa domanda, sottolineando che né i ”policy makers”, né tantomeno nessuno di noi cittadini avremmo nulla da ”perdere” avendo un quadro etico, che al contrario potrebbe diventare una vera e propria arma supplementare per difenderci nel quadro globale della cyberwar e del cybercrime.