FINITO IL TEMPO DELLE DELEGHE: L’EUROPA DEVE RIPRENDERE IN MANO LA GOVERNANCE DEL SUA SICUREZZA
Intervista VIP al Generale Leonardo Tricarico
Il Generale Leonardo Tricarico, Presidente della Fondazione ICSA, nell’intervista che ha concesso al nostro periodico affronta il delicato binomio: guerra e tecnologie, nel contesto della crisi geopolitica generata dal conflitto in Ucraina, che sembra aver riportato l’orologio della storia indietro nel tempo, quando l’Europa era il campo di battaglia attraversato da spinte egemoniche e dalla sete di conquista.
Generale Tricarico, “la Rete – scrive Michele Mezza (cfr. recensioni di questo numero n.d.r) – rientra nella logistica dei conflitti moderni”. In che misura le tecnologie digitali stanno cambiando il modo di fare la guerra?
Lo strumento militare è sempre accompagnato, passo dopo passo, dalla tecnologia. Se guardiamo all’attualità quella digitale. Un esempio su tutti il caccia di 5a generazione F35, non si tratta più di un velivolo ma di un sistema net centrico volante. I pur moderni caccia che lo hanno preceduto, Eurofjghter e simili hanno 8/900 mila linee di software, il caccia F35 dieci volte tanto e più. L’integrazione del software è stata l’impresa più ardua nello sviluppo del sistema. Il suo utilizzo odierno è legato alla capacità di sfruttare le potenzialità praticamente illimitate di inserirsi negli scenari bellici. La sua superiorità, si potrebbe dire il suo dominio degli spazi aerei, è fuori discussione.
Reale e virtuale si mescolano, lo stesso campo di battaglia è un campo ibrido, come si sta vedendo nel conflitto in Ucraina, che rende difficile una lettura di fatti ed eventi. L’azione militare non deve presidiare solo un fronte fisico, ma anche il cyber spazio. Quali scenari si aprono dal punto di vista della sicurezza globale e degli esiti militari del conflitto in Ucraina?
Anche in questo caso può aiutarci un esempio illuminante. La Russia, forse in seguito a un mutamento di dottrina, ha posto tra gli obiettivi primari quello delle fonti di energia elettrica. Già in tempi non sospetti aveva lasciato al buio l’Ucraina sferrando un attacco informatico senza eccessive difficoltà. Oggi questo non gli è possibile grazie all’intervento dei big del web statunitensi che hanno accolto le richieste di aiuto ucraine e si sono mobilitate per presidiare l’infrastruttura critica dagli attacchi russi. Con il risultato che questi ultimi debbono fare con i missili e le bombe quello che non sono riusciti a fare con il web. Per quanto riguarda le possibili capacità risolutive del cyber, pare di assistere, come da sempre avviene nell’orizzonte convenzionale, a un sostanziale inceppamento della macchina bellica.
La Comunicazione sta cambiando la guerra. Si combatte anche sul fronte dell’informazione, dei contenuti, dei saperi, delle conoscenze. Dobbiamo concludere che oggi vince chi possiede il know-how ed è capace di presidiare le fonti dell’informazione e di regolare il flusso delle notizie?
La guerra non si vince solo con le informazioni, anche se sono d’accordo sul fatto che va presidiato un ambito che si è certamente evoluto negli ultimi anni, ma che da solo non può essere considerato risolutivo. Il dominio delle informazioni va presidiato più di quanto non si facesse in passato e questa è una delle principali lezioni che il conflitto russo-ucraino ha fornito alla dottrina militare.
Sul fronte ucraino si combattono più conflitti: uno di stile ottocentesco che mira alla conquista dei territori; un altro fondato sull’uso di droni, smartphone, Google, sistemi satellitari per la georeferenziazione, che risponde a una logica di alta sofisticazione tecnologica. Per quale ragione nell’era della disintermediazione e della “fine dei territori”, per usare una celebre definizione di Bertand Badie, si può condurre una guerra di conquista come quella innescata da Putin?
In Ucraina tutte le regole sono saltate, comprese quelle su cui si fonda il nostro stare insieme militarmente, col termine nostro mi riferisco alla cultura occidentale. Questo è il più preoccupante cruccio che non sembra affliggere più di tanto i decisori dell’una e dell’altra parte, mentre invece è il vero centro di gravità della vicenda. Tutto questo è preoccupante perché in assenza di regole tutto può succedere. Scendendo in concreto: la Russia, più che una guerra ottocentesca sta conducendo una guerra primordiale per la quale dovrà rispondere alla giustizia, ancora una volta quella contemplata dalle regole che ci siamo dati e non certo da tribunali da istituire ad hoc. Il lavoro da fare oggi quindi, più che contemperare due anime, due diverse interpretazioni dell’uso della forza, è quello di una riflessione generale sul come fermare la valanga che si sta ingigantendo e sulle strategie da mettere in atto per fermarla. Creare le condizioni per evitare il ripetersi di scenari fuori controllo risulterà decisivo. Si tratta di un compito arduo anche per la multipolarità della governance internazionale e l’inadeguatezza dei “fori” che dovrebbero fare da punto di riferimento del confronto. Penso prima di tutto all’ONU.
Emergenza è divenuta la parola chiave di questo tempo di crisi, come osserva Alessandro Colombo nel saggio: Il governo mondiale dell’emergenza (ed. Raffaello Cortina). Si è passati, sostiene lo studioso, dall’apoteosi della sicurezza alla epidemia dell’insicurezza generata da una molteplicità di fattori di instabilità che segnano la contemporaneità, in un generale pericoloso declino della democrazia liberale. Come se non bastasse la “rivoluzione digitale” sta modificando la geografia dei poteri, per cui la geopolitica ha mutato il suo profilo di disciplina scientifica. Quali strategie bisognerà adottare per riaffermare la sicurezza come valore condiviso in un orizzonte che garantisca i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo?
La sicurezza continuerà a essere uno strumento nelle mani del più forte. Chi ha l’egemonia manipola, ieri come oggi, interventi e azioni di contrasto, reinterpretando persino il campo dei diritti, delle regole e la definizione dei trattati secondo le convenienze del momento.
Credo sia venuto il momento di “riprendere la delega” dagli Stati Uniti e riprendere in mano la gestione della nostra sicurezza. Il destino dei nostri paesi, e dei nostri interessi, non può più essere affidato ad altri. Purtroppo, ho l’impressione che neppure la tragedia in Ucraina sia uno stimolo sufficiente per intraprendere con sollecitudine un percorso di edificazione per un sistema di sicurezza autenticamente europeo, abbandonando definitivamente pretesti, ipocrisie e alibi di qualsiasi tipo.
Autore: Massimiliano Cannata