Come era ampiamente prevedibile, l’accurata e dettagliata inchiesta di TechChrunch sul progetto Facebook Research ha suscitato una nuova ondata di indignazione, irritazione e preoccupazione fra utenti ed esperti.
Il progetto consisteva infatti nel richiedere agli utenti, anche minorenni, di installare una VPN sul proprio smartphone in cambio di 20 dollari al mese e il monitoraggio a fini di miglioramento del servizio e delle prestazioni. Quello che era poco chiaro, nei termini e nelle condizioni, è che in tal modo Facebook avrebbe avuto accesso a tutta l’attività svolta dall’utente via smartphone, e avrebbe potuto registrare ogni tipo di dato personale. Che l’iniziativa non fosse proprio lecitissima, doveva essere ben chiaro al quartier generale della grande F, tanto è vero che si era prestata particolare attenzione ad attivare un sistema che non richiedesse il passaggio attraverso iTunes, in quanto ben consapevoli che le privacy policy di Apple l’avrebbero prima o poi fatto bloccare. E non è un caso nemmeno che, a poche ore dalla diffusione dell’articolo di TechChrunch, Facebook abbia annunciato che chiuderà la versione del suo sistema per gli iPhone e gli iPad. (Gli utenti Android nel frattempo li lasciamo lì a farsi monitorare, ché Google è meno severo).
Ancora una volta ci troviamo quindi di fronte a una triade che abbiamo ben imparato a conoscere in questo ultimo paio di anni ma che ancora non smette di sorprenderci: da una parte un’azienda che nell’arco di poco più di un decennio ha sovvertito il modo di vivere e relazionarsi di una grandissima parte della popolazione mondiale, dall’altro la stessa azienda che nello stesso tempo ha messo a repentaglio il bene più prezioso degli individui interconnessi, la privacy, e al vertice di tutto l’individuo interconnesso, diventato utente, che volontariamente scambia la propria riservatezza con un test su chi era nella vita precedente e due foto di gattini.
Perché il punto critico continua probabilmente a essere questo: non siamo ancora sufficientemente consapevoli di quale sia il prezzo a cui viene l’orizzontalità del villaggio globale, e continuiamo a pensare “che male vuoi che faccia” se Facebook vede le mie foto, e poi i miei contatti, e poi il consumo della mia CPU quando sono in rete. Tutti gli utenti del progetto Facebook Research avevano infatti scelto volontariamente di partecipare all’iniziativa, cioè hanno deliberatamente aperto la porta al monitoraggio del proprio smartphone. E se quindi Facebook è colpevole di non aver fornito informazioni adeguate e comprensibili e di aver coinvolto nell’iniziativa un numero vastissimo di minorenni (la promozione del progetto era infatti lanciata in particolare su Instagram e Snapchat, i social preferiti dai teenager – che invece stanno sempre più disamorandosi di Facebook), quelli che hanno accettato non sono del tutto innocenti.
La Rete prima e i social dopo hanno messo in mano a tutti un mezzo molto più potente di quanto la maggior parte di noi sappia usare, un po’ come se facessimo l’esame della patente con una Ferrari. E’ assolutamente necessario che si proceda a un’educazione alla vita digitale, rivolta tanto ai ragazzi quanto agli adulti (che sui social sono altrettanto se non più “a rischio”, come dimostrano – sebbene parzialmente – le statistiche sulla diffusione delle fake news), che focalizzi l’attenzione sul solito concetto: il potere di domani passa dal possesso dei dati di oggi.
I gattini sono carini, ma possiamo guardarli anche senza mettere a disposizione di una multinazionale il codice della nostra cassaforte.