Pubblicato su Ethics and Information Technology uno studio condotto da un team di Data Scientists pisani in cui gli esperti sostengono e argomentano che un approccio decentralizzato può aiutare la comunità ad adottare comportamenti migliori per contrastare il virus.
Dare più dati, consapevolezza e controllo ai singoli cittadini per contenere la pandemia da Covid-19. Sono queste le conclusioni del team pisano di esperti.
«Dopo il lockdown della primavera 2020, l’adozione su larga scala di app per il tracciamento dei contatti è stata approvata in molti paesi come mezzo per facilitare il tracciamento delle catene di trasmissione e la diagnosi precoce di focolai, e quindi per ridurre al minimo la ricomparsa di contagi da COVID-19. Tuttavia, un approccio centralizzato, in cui i dati acquisiti dall’app vengono tutti inviati a un server a livello nazionale, ha sollevato importanti preoccupazioni sulla privacy dei cittadini e su un controllo digitale inutilmente forte, mettendo in allarme ricercatori e responsabili politici sull’importanza di limitare la raccolta dei dati personali ed evitare il monitoraggio dei dati di localizzazione.
Lo studio è stato guidato nell’aprile 2020, durante la prima ondata di epidemia, da membri della comunità pisana di ricercatori in Data Science e Intelligenza artificiale e dell’infrastruttura di ricerca europea SoBigData.eu. Tra loro Mirco Nanni (primo autore), Fosca Giannotti, Salvatore Rinzivillo e Roberto Trasarti del Cnr-Isti; Chiara Boldrini, Marco Conti direttore del Cnr-Iit e Andrea Passarella del Cnr-Iit; Paolo Ferragina, Riccardo Guidotti, Anna Monreale, Dino Pedreschi, Francesca Pratesi e Salvatore Ruggieri dell’Università di Pisa; e Francesca Chiaromonte e Giovanni Comandé della Scuola Sant’Anna – statistico e giurista dell’EMbeDS.
Nel loro studio gli esperti sostengono il vantaggio concettuale di un approccio decentralizzato, in cui sia i dati di contatto che quelli di posizione vengono raccolti esclusivamente negli archivi di dati personali dei singoli cittadini, per essere condivisi separatamente e selettivamente (ad esempio, con un sistema di back-end, ma possibilmente anche con altri cittadini), volontariamente, solo quando il cittadino è risultato positivo al COVID-19 e con un livello di granularità che tutela la privacy.
Questo approccio protegge meglio la sfera personale dei cittadini e offre molteplici vantaggi. Consente la raccolta di informazioni dettagliate ma che preservano la privacy degli individui positivi al covid-19, consentendo sia il tracciamento dei contatti che il rilevamento precoce di focolai su scala geografica più precisa. L’approccio decentralizzato è anche scalabile per grandi popolazioni, in quanto solo i dati dei pazienti positivi devono essere gestiti a livello centrale.
Le raccomandazioni del team di ricerca sono due. In primo luogo, estendere le architetture decentralizzate esistenti per gestire la raccolta dei dati di localizzazione localmente sui singoli dispositivi e consentire ai cittadini di condividere informazioni spazio-temporali – se e quando lo desiderano e per scopi specifici (ad esempio, con le autorità sanitarie durante un’epidemia). In secondo luogo, a più lungo termine, perseguire l’adozione su vasta scala di sistemi sicuri ed efficaci per la raccolta e l’uso dei propri dati personali, dando a ciascun individuo l’opportunità di contribuire al bene comune volontariamente e per obiettivi specifici, accrescendo la consapevolezza di sé e coltivando sforzi collettivi per la ricostruzione della società.
Mirco Nanni primo autore dello studio afferma: “L’equilibrio ottimale tra bene pubblico e protezione dei dati personali non può essere raggiunto se non coinvolgendo l’individuo stesso nel processo di decisione. La priorità è fornirgli i mezzi per acquisire piena coscienza e pieno controllo dei propri dati, così da permettergli di decidere consapevolmente se e quando condividerli con altri, con quali modalità e quali limiti. L’emergenza COVID-19 ha reso più evidente come il potenziale contributo che il singolo cittadino potrebbe fornire con i suoi dati si scontri con il timore di abusi. Riteniamo che fornire consapevolezza e controllo sia la giusta cura per questo conflitto, e che le sfide per farlo siano ancor più culturali che tecnologiche”.
L’idea di base è promuovere un new deal di dati personali: “Consentire agli individui di raccogliere, utilizzare e aggiungere valore ai propri dati riduce il ruolo dominante delle grandi piattaforme e aiuta a democratizzare Big Data e Intelligenza Artificiale” – afferma Dino Pedreschi, professore di Informatica dell’Università di Pisa e corresponding author dello studio – “Questa può essere la chiave per una trasformazione digitale che accresca effettivamente il benessere individuale e collettivo”. “L’approccio proposto – continua Giovanni Comandé – anticipa già le proposte normative europee (Data Governance Act) e la sua politica di “data altruism”».