Nella Top Ten delle parole più fraintese e peggio usate di questo decennio che volge al termine, credo siamo tutti d’accordo che quantico e quantistico si piazzano se non sul podio sicuramente fra le prime cinque; e lo sa bene chiunque si occupi di tecnologia, scienza e informazione scientifica (o pseudo tale), che si ritrova davanti all’uso a caso delle due parole con frequenza almeno settimanale.
Nell’immaginario collettivo, “quantico” è la parola magica del nostro futuro, l’invisibile che promette di spalancarci porte su tutto ciò che di inesplorato c’è ancora nella scienza: se qualcosa è quantico, per antonomasia non si può pensare nulla di più potente. Ma questo a volte è vero in teoria e non necessariamente nella pratica quotidiana.
Lo mostra con chiarezza un bell’articolo di Martin Giles sulla MIT Technology Review, che approfondisce il tema dei Computer Quantistici.
Se chiediamo all’uomo della strada cosa immagina sia un computer quantistico, molto probabilmente ci risponderà che è quello grazie al quale prima o poi andremo su Marte a bordo dell’Enterprise, o che è l’evoluzione dei personal computer cui stanno lavorando Elon Musk, Bill Gates e Tim Cook tutti insieme nel tempo libero. E probabilmente anche noi, utenti tecnologici avanzati ma non tecnici puri, non lo pensiamo poi molto diversamente (sì, qualcuno sogna il Millennium Falcon, ma sappiamo tutti che non regge il confronto con l’Enteprise).
In realtà, il computer quantistico è una tecnologia che, allo stato attuale, è estremamente potente, ma non più utile nel quotidiano del nostro normale pc. E con ogni probabilità, questo non cambierà nemmeno in futuro. Dice Giles:
“They won’t wipe out conventional computers, though. Using a classical machine will still be the easiest and most economical solution for tackling most problems.”
Qual è la caratteristica principale di un computer quantistico? Ovvio: si basa sulle leggi della meccanica e della fisica quantistica. E questo significa che mentre un computer normale processa i bit, ovvero unità di informazione che possono trovarsi in stato “zero” oppure in stato 1 (aperto e chiuso), un computer quantistico genera e processa i qubit, ovvero le unità di informazione quantistica. I qubit, per l’appunto, rispettano i principi della fisica quantistica, che rende possibile per loro trovarsi in uno stato che sia contemporaneamente 1 oppure 0, almeno fintantoché non viene codificato (questo è noto fra scienziati e fisici come principio di sovrapposizione. Noi lo chiameremo Kitty, il gatto di Schroedinger).
Tuttavia, è possibile per i ricercatori generare coppie di qubit in cui ciascuna delle due unità si trova in un solo stato, vincolato a quello dell’altra unità, per cui il cambiamento dello stato dell’uno comporta necessariamente il cambiamento dello stato dell’altro. Si tratta del famoso entanglement, o correlazione quantistica. Se la cosa continua a rimanervi un po’ oscura, non sentitevi particolarmente lenti, sappiate invece che siete in buona compagnia:
“Nobody really knows quite how or why entanglement works. It even baffled Einstein, who famously described it as “spooky action at a distance.” But it’s key to the power of quantum computers. In a conventional computer, doubling the number of bits doubles its processing power. But thanks to entanglement, adding extra qubits to a quantum machine produces an exponential increase in its numberc-runching ability”
Questo comunque significa, in parole molto semplici, che la potenza di calcolo di un computer quantistico è imparagonabile a quella di un pc normale:
Se pensiamo al fatto che la quantità di informazione contenuta in n qubit è pari a 2 alla n bit classici, ci rendiamo conto che si sta parlando di numeri astronomici.
E quindi, direte voi, l’asserzione iniziale di questo articolo è stata confutata: un pc normale non sarà maipotente e perfetto come un computer quantistico. Ma, proprio come dicevamo inizialmente, se questo è vero in linea di principio, non lo è nell’applicazione pratica quotidiana perché, ancora una volta per loro stessa natura, i computer quantistici hanno un maggiore margine di errore rispetto ai supercomputer contemporanei a causa della decoerenza quantistica.
Le particelle quantistiche sono infatti estremamente volatili e fragili, proprio perché cambiano stato, e questo potrebbe comportare la perdita di informazioni durante il processo di elaborazione. Allo stato attuale, quindi, gli studiosi sono riusciti a comporre solo una frazione del sistema che sarebbe necessario per arrivare all’Eldorado, il Sacro Graal della ricerca quantistica, ovvero la supremazia quantistica:
“the point at which a quantum computer can complete a mathematical calculation that is demonstrably beyond the reach of even the most powerful supercomputer. It’s still unclear exactly how many qubits will be needed to achieve this because researchers keep finding new algorithms to boost the performance of classical machines, and supercomputing hardware keeps getting better.”
Al momento, dunque, come siamo messi con lo sviluppo reale e concreto di computer quantistici? Dal 1982, quando Richard Feynman teorizzò la possibilità di “simulatori quantistici”, ci sono voluti 25 anni perché qualcuno riuscisse a realizzare un primo prototipo di computer quantistico, e il primato è andato alla IBM, che costruì la macchina misurando lo spin dei nuclei atomici (ossia la grandezza, o numero quantico, associata alle particelle, che concorre a definirne lo stato quantico) di particolari molecole tramite la risonanza magnetica nucleare (misurando cioè lo spin e determinando quindi lo stato quantistico di una particella quando è sottoposta ad un campo magnetico).
E sempre la IBM, ma nel 2001, produsse il primo computer quantistico a 7 qubit. Di lì in avanti le cose sono andate abbastanza velocemente e nel 2018 Google ha annunciato un processore per computer quantistici a 72 qubit. La cosa affascinante di questi computer è che, per ovvie ragioni, i ricercatori hanno dovuto inventarsi delle tecnologie completamente nuove per poter utilizzare i qubit cercando di garantirne la stabilità, per esempio superconduttori raffreddati a -273,15 gradi (vale a dire una temperatura più fredda di quella dello spazio profondo), oppure campi elettromagnetici che intrappolano gli ioni di modo che lo spostamento degli elettroni ne modifichi lo stato producendo qubit.
Ora, non so voi, ma a me l’idea di mettere mano a un computer più gelido dello spazio profondo attira da mirare. E siccome non devo essere proprio l’unica al mondo, IBM ha messo a disposizione di tutti gli utenti la possibilità di accedere a Composer, un servizio web con cui è possibile programmare un processore quantistico a 5 qubit.
Secondo gli esperti sono ancora necessari prima di raggiungere la piena supremazia quantistica e sviluppare sistemi contenenti migliaia di qubit ma per ora anche 5 qubit sono un ottimo traguardo.